- Titolo originale: もののけ姫 (Mononoke Hime)
- Anno: 1997
- Durata: 134 minuti
- Regia, soggetto e sceneggiatura di Hayao Miyazaki
- Casa di Produzione: Studio Ghibli
Voto: 10
Trama
Ashitaka, il ragazzo protagonista, è a capo di un piccolo villaggio e viene infettato da un maleficio che prima affliggeva il demone cinghiale da lui ucciso per salvare la propria gente.
Sarà proprio per trovare una cura che Ashitaka deciderà di mettersi in viaggio, durante il quale incontrerà Jiko, un monaco errante che gli racconta della presenza di uno spirito della foresta in grado di curarlo.
Il suo viaggio proseguirà verso ovest, fino a che non raggiungerà Tataraba, la Città del ferro governata dalla Signora Eboshi, una donna forte, poco rispettosa delle tradizioni e delle divinità, la cui principale rivale è Sam, o la principessa degli spiriti, da cui deriva il titolo del lungometraggio, cresciuta dalla divinità-lupa Moro.
L'intera storia, arricchita dal sentimento che Ashitaka arriva a provare per Sam, vede il continuo rapportarsi e scontrarsi di tradizione e progresso, natura e tecnologia, spiritualismo e materialismo, e se i primi risultano essere i valori legati allo Shintō, religione autoctona giapponese, gli altri sono inevitabilmente parte della storia umana.
Considerazioni
Un primo elemento molto interessante è quello della malattia associata alla modernizzazione – il demone cinghiale che compare all'inizio è stato infettato da un colpo d’arma da fuoco –, che ci mostra come il contatto con l’Occidente sia stato percepito negativamente e riporta proprio al periodo storico-politico durante il quale è stato ambientato il lungometraggio, l'epoca Muromachi (1336-1573), alla quale risale il primo contatto con gli occidentali avvenuto nel 1543.
Di conseguenza, il viaggio verso ovest intrapreso dal protagonista non è casuale: l’Occidente è simbolo di modernizzazione e si riconosce nella Città del ferro e nella figura della Signora Eboshi, ma va ricordato che è anche la direzione in cui si trova il Paradiso di Amida, il Buddha maggiormente venerato in Giappone, il cui culto è stato fuso con molti aspetti appartenenti al credo autoctono. Questa fusione risulta visibile anche nella scelta della divinità shintoista che viene descritta nel lungometraggio, il dio con il volto simile a una maschera e il corpo di un cervo: animale simbolico della credenza autoctona che aumentò il suo valore e servì anche da collegamento con il credo buddhista.
Dettaglio
Guido Tavassi in Storia dell’animazione giapponese lo ha definito «il testamento filosofico di Hayao Miyazaki» e la trovo una definizione azzeccata: questo lungometraggio realizzato unendo tecniche digitali e animazione tradizionale, fu campione di incassi e ottenne il premio Animation Grand Prize, oltre a essere dichiarato il miglior film di quell’anno all’Animēshon Kōbe, evento creato nel 1996 per promuovere anime e altri prodotti a carattere mediatico.
A cura di Francesca Panciroli